La storia delle magliette con una cintura disegnata sopra, che i napoletani avrebbero inventato per ingannare il vigile, è la prima leggenda metropolitana nata in laboratorio

Claudio Ciaravolo Maglietta con la cintura disegnata

La storia delle magliette con una cintura disegnata sopra, che i napoletani avrebbero inventato per ingannare il vigile, è la prima leggenda metropolitana nata in laboratorio; un esperimento del primo legendmaker della storia della comunicazione che non solo ha permesso di studiare i meccanismi di diffusione e la velocità di propagazione a breve e lungo termine, ma anche di convalidare l'ipotesi di leggende realizzate da abili comunicatori (al sevizio di aziende) a scopi vantaggiosi o per arrecare danno ai concorrenti. E' stato inoltre molto utile nella comprensione delle dinamiche della smentita. Benchè la notizia che si trattasse di una storia falsa abbia occupato grandi spazi su tutti i media del mondo, è ancora oggi, una delle leggende più raccontate.Perfino sulle pagine de L’Espresso in un articolo di un grande giornalista e scrittore come Giorgio Bocca viene (gennaio 2008)considerata un storia vera. Questa stessa leggenda, a distanza di 10 anni, ha permesso una nuova e importante conquista: la dimostrazione che è possibile utilzzarla in una efficace comunicazione sociale. Il suo inventore, Claudio Ciaravolo insieme con Olympia Pratesi l'ha impiegata come testimonial nella campagna per le cinture di sicurezza che ha realizzato in Italia per il Ministero Lavori Pubblici nel febbraio 99. Dopo anni di campagne in molti paesi del mondo, sulle tecniche più idonee a promuovere l'uso delle cinture di sicurezza esistono ormai moltissimi studi. Da essi risulta con evidenza che informare gli automobilisti dei vantaggi delle cinture genera un atteggiamento positivo pressochè unanime: tutti si dicono favorevoli al loro impiego, ma non in tutti quest'atteggiamento si traduce in comportamento. In Italia pur essendo tutti perfettamente a conoscenza che le cinture di sicurezza possono salvare la vita e, per questo ben disposti, più del 90% non le allaccia: non passa dalle parole ai fatti. Questo dipende da motivazioni non razionali, legate alla nostra dimensione "sociale". Viviamo in gruppo, e siamo profondamente interessati all'opinione che gli altri hanno di noi. Non esistono comportamenti positivi o negativi: quello che conta è il significato che attribuisce loro la comunità. Sotto questo profilo, le cinture di sicurezza occupano un'area grigia: tutti ne pensiamo bene, ma non tutti pensiamo altrettanto bene di chi le usa. Tendiamo, infatti, a giudicarlo un po' "bacchettone": chi tiene sempre le cinture allacciate viene spesso ritenuto eccessivamente prudente e timoroso. Due caratteristiche oggi poco apprezzate. Anche se molti guidatori sostengono di non mettersi le cinture perché sono scomode, i test non lasciano dubbi. La vera motivazione, quasi sempre negata, è più profonda: non usano le cinture per timore di apparire ridicoli. Tra il rischio (statisticamente non altissimo) di un incidente, e la (presunta) certezza d'essere oggetto di commenti ironici, scelgono automaticamente il primo. Per spingere questo gran numero di automobilisti (refrattari alle informazioni positive) a mettersi le cinture, si e' pensato di sottolineare i problemi cui andrebbero incontro non usandole. Il presupposto teorico è cercare di controbilanciare la forza delle "ragioni sociali" con quella delle emozioni negative. E' così che negli U.S.A. sono stati spesi milioni di dollari per realizzare campagne centrate sulla paura. In televisione, al cinema, sui tabelloni stradali gli americani hanno visto immagini di macchine accartocciate, precedute (negli spot) da stridore di freni ed urti di lamiere, con l'accompagnamento di messaggi minacciosi. All'automobilista non sono state risparmiate le tragiche visioni del dopo-incidente: dalle corsie di ospedale alla sedia a rotelle. Parola d'ordine: provocargli uno shock. Purtroppo la "strategia del terrore" non dà i risultati sperati: è, infatti, efficace solo con un piccolo numero di soggetti particolarmente sensibili, e per poco tempo. Scioccati da queste immagini, all'inizio la cintura se la mettono: ma a distanza di qualche ora, o - al massimo - di qualche giorno dall'esposizione allo spot (o al manifesto) spaventevole, la paura se ne va, e loro tornano quasi tutti al vecchio comportamento. Bisogna ricordare che i messaggi minacciosi funzionano poco anche quando sono ben più reali. Chi transita, per esempio, sul luogo di un sinistro, dopo aver visto le auto distrutte, col tragico contorno d'ambulanze e di polizia, spesso riduce la velocità, e - se non le aveva - si mette le cinture, ma basta la prima sosta al motel per un caffè, per tornare alla velocità di prima, e per dimenticarsi le cinture. Nella maggior parte degli automobilisti, invece, la paura scatenata da immagini tanto crude provoca una fortissima tensione emotiva, che la mente cerca di allontanare mettendo in atto tre differenti comportamenti difensivi: 1) una soprastima di se stessi, e della propria abilità alla guida ("a me non succederà, io non ho mai avuto incidenti, io sono prudente, io guido bene"); 2) un atteggiamento critico nei confronti della fonte che eroga la comunicazione spaventosa ("la cintura non può far miracoli!"). Questo scetticismo si estende anche ad altri contesti precauzionali; 3) la valorizzazione delle "controargomentazioni": le cinture sono pericolose. In questi casi viene dato credito a tutte le notizie "a sfavore" delle cinture. Tra quelle che circolano di più ci sono le presunte "lesioni da strappamento" che le cinture potrebbero provocare. Viene poi citato il dramma dell'automobilista rimasto prigioniero nell'auto dopo un incidente perché le cinture non si sganciavano più, e la fortuna dell'altro, scampato al rogo della macchina per esserne stato sbalzato fuori, grazie al fatto di non avere le cinture allacciate. Queste risposte, che il nostro cervello ci suggerisce per tranquillizzarci di fronte alle scene agghiaccianti, annullano il messaggio. Si è visto che nei giovani le campagne centrate sulla paura possono avere addirittura un esito opposto alle intenzioni. Il pericolo, così vividamente rappresentato, può essere, infatti, vissuto da alcuni ragazzi come un valore aggiunto: un plus, uno stimolo per mettersi alla prova, o per sfidare gli altri. Le campagne di sicurezza stradale fondate sul terrore sono insomma efficaci solo con un piccolo numero di persone, e per un tempo limitato. Programmarle e realizzarle costituisce perciò uno spreco di soldi e di risorse: anche in relazione al fatto che d'immagini scioccanti ne riceviamo già in abbondanza dai telegiornali, che - per dovere di cronaca - ci portano ogni giorno in casa le notizie (e le riprese filmate) dei più terribili incidenti stradali. Senza che ciò incida sulla guida di noi spettatori. Quanto poco la paura riesca ad incidere sui comportamenti lo testimonia il dramma di un personaggio celebre, passato in pochi secondi dalla cronaca rosa a quella nera. La terribile fine di Lady Diana si è trasformata in un gigantesco e interminabile spot a favore delle cinture di sicurezza. Le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato l'auto distrutta dall'incidente avvenuto in città, in pieno centro, dove le cinture sono usate di meno, e invece sono decisive: il 75% dei traumi cranici si verifica, infatti, proprio in città, tra i 30 e i 40 km. all'ora, e le cinture li eliminerebbero del tutto. I media hanno ripetuto per mesi che la guardia del corpo di Diana si è salvata perché aveva la cintura allacciata: se lo avesse fatto anche lei, probabilmente sarebbe ancora tra noi. Insomma, difficilmente una campagna "terroristica" potrà avere una risonanza emotiva e una visibilità di queste proporzioni: eppure non è bastata a modificare - se non in rari casi, e per pochissimo - le nostre (spesso cattive) abitudini riguardo alle cinture. NUOVA CAMPAGNA PER L'USO DELLE CINTURE 1999 Dalle ricerche sulla comunicazione persuasiva sappiamo che gli appelli basati sulla ragione spingono la maggior parte delle persone a sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti delle cinture, ma che poi solo il 10% le mette.. Dal canto loro, le campagne "terrorizzanti" evidenziano che fare appello ai dati reali ( 97.000 morti in 10 anni) e alle emozioni negative, come la paura, funziona in pochi casi, e per poco tempo. Si rende allora necessario riuscire a contrastare le "motivazioni sociali": quelle ragioni, cioé, che spingono l'automobilista a non mettersi le cinture. Questo si può ottenere suggerendo a chi guida che se le cinture gli salvano la vita, è stupido non metterle per timore del giudizio negativo degli altri (o perché sono scomode). Quest'operazione non può essere svolta ,però, direttamente ,ma in maniera indiretta, facendo uso della comunicazione nascosta ("l'implicito" e gli "automatismi deduttivi "che ne derivano) perchè: 1) è inutile rivolgersi esplicitamente alla razionalità di questi automobilisti, più sensibili alle motivazioni sociali che ai dati obiettivi, 2) un messaggio nascosto e' più persuasivo perché è più difficile da rifiutare. E' inoltre importante, per evitare possibili opposizioni, che: la fonte di questo messaggio non sia autoritaria, giudicante o impositiva, ma sia invece amichevole, vicina e complice. E sicuramente più che all'autorevolezza conviene far ricorso alla "comunicazione spiritosa": un particolare tipo di comunicazione che: 1- attira l'attenzione (ha un forte effetto collativo come tutto quello che ci piace e ci diverte) 2- rende il fruitore disponibile e favorevole (promuove un vero e proprio "campo affermativo") 3- elude la severità prescrittiva consentendo di evitare le frequenti resistenze che si hanno nei confronti delle campagne sociali 1- attiva una serie di processi psichici che facilitano l'adozione di nuovi modelli di comportamento

Il gioco di parole ,che da una parte diverte e dall'altra rimanda ad altri possibili significati più o meno nascosti, è anch'esso considerato dagli studiosi di comunicazione, uno dei sistemi più efficaci di persuasione. La pubblicità lo sa da tempo, per averlo scoperto sul campo: non a caso gli spot somigliano sempre di più a sketch, e sono ricchi di invenzioni verbali. I pubblicitari cercano inoltre di "importare" simpatia anche dall'esterno (i testimonial più corteggiati e pagati sono gli attori comici). La loro "positività" si può infatti trasferire automaticamente al prodotto che reclamizzano, che si tratti di pagine gialle, di tortellini o di caffè. E' per tutte queste considerazioni che la campagna a favore delle cinture ha come protagonista la simpatica e accattivante "maglietta di sicurezza". La T-shirt bianca con una striscia diagonale nera dipinta sopra che secondo una divertente leggenda molto diffusa, avrebbe permesso ai napoletani di non mettersi la cintura e fregare il vigile. Bisogna ricordare che questa leggenda metropolitana e' molto speciale. Infatti, anche se - come le altre leggende - e' una storia falsa, che si diffonde attraverso il tamtam interpersonale e che molti credono vera perché conferma un loro pregiudizio ("i napoletani sono geniali e imbroglioni"), ha un'origine straordinaria. E' stata inventata dieci anni fa per studiare l'efficacia della comunicazione orizzontale: la trasmissione di notizie che avviene da una persona all'altra. Questa leggenda ha inoltre permesso allo psichiatra che l'ha progettata (lo stesso che ha ideato questa campagna) di conoscere, oltre ai complessi meccanismi della diffusione, anche quelli che ne rendono impossibile la smentita: a tutt'oggi, nonostante decine di tentativi di chiarimento, sono ancora in moltissimi a credere che la maglietta è stata realmente venduta su centinaia di bancarelle ad ogni angolo di strada. ANALISI DETTAGLIATA OBIETTIVO: Cambiare il significato del comportamento, trasformando il "chi si allaccia la cintura è ridicolo" in "chi non si allaccia le cinture è stupido" DESTINATARI: Gli automobilisti che non mettono la cintura sostenendo che è scomoda, ma che sopratutto temono di essere ridicoli. VISUAL: La maglietta-testimonial offre numerosi vantaggi: - è molto nota (raggiunge i target più diversi). Se n'è parlato dovunque, dai bar alle scuole agli uffici; è perciò facilmente riconoscibile e cattura l'attenzione di tutti. - è "in linea" con l'oggetto della campagna (le cinture di sicurezza); - è "complice" di chi guarda. Alleandosi con lui contro l'Autorità, evita il tono cattedratico e prescrittivo presente in tante campagne di questo tipo, e le eventuali resistenze che ad essa si collegano; - è un oggetto paradossale: questa maglietta viene usata per una campagna a favore delle cinture di sicurezza, e nello stesso tempo è un sistema per evitare di mettersele. In più', serve ad evitare una multa che nessuno rischia di prendere. Il paradosso, presentando allo stesso tempo argomentazioni opposte, "blocca" la razionalità, e favorisce la prevalenza delle strutture cerebrali che presiedono alle scelte emozionali; - è un modello di comunicazione spiritosa: ha divertito chi l'ha creduta vera, e chi l'ha creduta falsa (essendosi accorto che non c'è bisogno di ingannare i permissivi vigili urbani napoletani). Lo sfondo è costituito da colori allegri: in alto il rosso scuro, che scendendo diviene rosso chiaro, arancione, per passare alle varie tonalità del giallo. Il rosso e il giallo simboleggiano le forze vitali (il Sangue, il Sole). Questi due colori reclutano una vivacissima risposta automatica di attenzione, e provocano nell'organismo una particolare attivazione fisiologica: in loro presenza la pressione sanguigna e la temperatura corporea s'innalzano, e il cuore batte più rapidamente. Il passaggio scalare dal rosso al giallo rimanda ad un tramonto: alle belle sensazioni provocate dai bei paesaggi che fanno da cornice a un lungo viaggio. Un tramonto come questo ricorda anche, indirettamente (e inaspettatamente) la quotidianità metropolitana: la rifrazione dei raggi del sole attraverso lo smog rende, infatti, i tramonti sempre più vividi e colorati. Su questo sfondo c'è l'immagine prescelta per la campagna: un filo al quale, con le tradizionali mollette, sono appese tre "magliette di sicurezza" di misure diverse. Il tratto con cui sono disegnate le magliette è molto simile a quello dei fumetti, a sottolineare la loro natura favolistica, "leggendaria". L'HEAD-LINE: La scritta: "SMALL. MEDIUM. LARGE." chiarisce il motivo della diversità delle tre magliette, e prepara all'headline vera e propria, che consiste in due brevi frasi. La prima è: "CON LE MISURE DI SICUREZZA NON SI SCHERZA". In questa frase sono contenute tre forme linguistiche che consentono al messaggio di "aggirare" la razionalità, e di arrivare direttamente alla parte emotiva inconscia della mente che elabora e decodifica i significati dei comportamenti: 1) il gioco di parole: l'espressione "misura di sicurezza" allude sia alle "norme per stare sicuri", sia - grazie all'immagine soprastante - alle "taglie" delle magliette appese al filo. 2) Il paradosso: mentre si afferma che con le misure di sicurezza non si scherza, ci si sta contemporaneamente scherzando sopra. 3) L'implicito: è ciò che è contenuto in una frase, pur senza essere detto. Es: nell'affermazione: "chiudi la finestra" è implicito a) che c'è una finestra b) che quella finestra è aperta. Queste due deduzioni sono "obbligate", e vengono effettuate in modo automatico. Inserendo un implicito in un messaggio si può perciò prevedere quale deduzione farà automaticamente il fruitore. L'implicito contenuto in questa frase è: "visto che non è il caso di scherzarci, queste misure devono essere molto importanti". Questa "grande importanza" è l'aspetto significativo che verrà poi ribadito anche nella seconda parte dell'head-line. Il visual (le magliette appese al filo) spiega che lo scherzo si riferisce alla leggenda-maglietta. Il fruitore non si sente chiamato in causa. Lui non ha mai scherzato con queste magliette: ne ha sentito parlare, ma non le ha nè possedute, né indossate. Sentendosi estraneo al "rimprovero", che non lo riguarda, concorda facilmente sull'importanza delle misure di sicurezza. Anche perché il messaggio non contiene alcuna prescrizione. In nessun momento, infatti, viene detto: mettetevi le cinture (su questo si che avrebbe qualche resistenza). "LA CINTURA CI SALVA LA VITA. SUL SERIO." Questa frase non è altro che la spiegazione della precedente ("con le misure di sicurezza non si scherza"). Chiarisce infatti perché sono tanto importanti per cui quelli che ci scherzano non devono farlo: perché le cinture salvano la vita. Un' affermazione, anche questa, ampiamente condivisibile da chiunque legga il messaggio. Non si dice che non ci si deve scherzare in nome di un principio morale astratto, ma che non è utile farlo, per un motivo concreto: per salvarsi la vita. Semplicemente non conviene. Questo sposta la prescrizione comportamentale dal territorio del dovere a quello dell'utile; e poiché -ovviamente- solo uno stupido non fa il proprio interesse, ne consegue che non allacciarsi la cintura e' stupido. Ma se nella prima parte dell'head-line il fruitore poteva non sentirsi coinvolto, con la particella pronominale "ci" (ci salva la vita) viene chiamato in causa. E allora, dopo che ha accettato che le cinture sono importanti e chi non le mette e' stupido(perché ci salvano la vita), il fatto di trovarle scomode (o che lo fanno diventare ridicolo) gli sembrerà una motivazione del tutto inadeguata e insufficiente. Ecco come è possibile attraverso deduzioni prevedibili arrivare a contrastare il vecchio significato sociale delle cinture. Ma se è vero che: "Solo uno stupido non mette le cinture perché sono scomode o perché possono far sembrare un pò ridicoli, quando sull'altro piatto della bilancia c'è la vita", è difficile ,quando sale in macchina,non metterle. E ,anzi, poiché penserà di esserci arrivato da solo ,non sospettando nemmeno la prevedibilità dei suoi percorsi mentali , riterrà che la scelta di allacciare le cinture sia del tutto "autonoma", "libera". L'accetterà facilmente e tenderà a mantenerla nel tempo, anche quando non arriveranno più messaggi dall'esterno. Le affissioni (cartelloni su strada, nelle pompe di benzina, sugli autobus, negli uffici postali) e l'acquisizione di spazi sui più importanti quotidiani e settimanali rappresentano comunque solo alcuni dei tasselli di un mosaico che prevede numerosi interventi articolati e diversificati (dai corsi di informazione nelle scuole ai concerti sponsorizzati) tendenti a modificare il significato di un comportamento così importante come allacciarsi le cinture. E' stato calcolato che in Italia l'uso delle cinture potrebbe salvare la vita a più di mille persone in un anno. Con questa campagna si apre una nuova frontiera: l'utilizzazione di una leggenda metropolitana. La rappresentazione grafica di una storia molto ascoltata, ma pochissimo vista potrebbe rivelarsi molto efficace nello stimolare la curiosità del fruitore, e nell'attivare, con un passaparola tipico dell'universo della leggenda, un effetto moltiplicatore sul messaggio. Le "voci che corrono" (le leggende) diventano per la prima volta "voci che occorrono": cioè storie in grado di diffondere messaggi vantaggiosi e dare un notevole contributo alle campagne di persuasione sociale. IDEAZIONE: CLAUDIO CIARAVOLO, psichiatra ART-DIRECTOR: OLYMPIA PRATESI, architetto


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