Il creativo cento ne pensa e una ne fa. Il creattivo cento ne pensa e cento ne fa.
Le sue idee hanno fin dalla nascita una
elevata possibilità di avere successo.

Claudio Ciaravolo Creattivo

A prima vista la differenza fra “creativo” e “creattivo” consiste in una semplice t. In realtà, la distanza fra questi due termini è notevole. Creatività è avere una buona idea. Anzi, più d’una. Di solito, il creativo di idee buone ne ha tante; ma raramente riesce a realizzarle, e a guadagnarci sopra. Quasi sempre, il creativo deve mettersi alla ricerca di qualcuno a cui le sue idee piacciano, e che voglia provare a metterle in pratica. Poi non gli resta che sperare che la cosa funzioni: solo in questo caso otterrà dei vantaggi. Sono molti i creativi convinti di avere delle buone idee, ma di non essere capaci di presentarle bene, o di essere un po’ sfortunati a non aver incontrato la persona giusta, in grado di farle fruttare. Insomma, il creativo crea molto, ma combina poco: cento ne pensa, e una ne fa (quando gli va bene). Se invece parliamo di creattività, con due t, le cose cambiano completamente. Il creattivo cento ne pensa, e cento ne fa. Le idee del creattivo hanno fin dalla nascita un’elevata possibilità di avere successo. Per essere “creattivi” non ci si può limitare ad avere delle buone idee: occorre che siano idee straordinarie, eccezionali. Come si fa a capire se un’idea è eccezionale? Fidarsi dell’opinione delle persone più vicine, come amici e parenti (come fanno spesso i creativi), è fuorviante. Per essere eccezionale, e quindi creattiva, un’idea non può limitarsi a piacere “abbastanza” a un po’ di persone: deve entusiasmarne una grande quantità. Più numerosi sono quelli che se ne innamorano a prima vista, più è facile che convincano della sua eccezionalità i meno entusiasti. Insomma, solo quando si imbattono in un’idea “travolgente”, è probabile che le persone ne parlino con i loro conoscenti. I quali, se l’idea conquista anche loro, la racconteranno a tutti quelli che gli capitano a tiro. Solo così (se piace tanto, ma proprio tanto, alla stragrande maggioranza di quelli che incontra), quest’idea avrà infatti qualche possibilità di sopravvivere nel difficile mercato delle idee (un mercato affollatissimo: tutti vorrebbero avere idee valide che gli permettano di avere successo e di fare soldi senza sforzo…) Insomma, per decollare: per essere davvero creattiva, un’idea deve entusiasmare. La “t” in più del creatTivo è la T di “Turbo”: la sua idea deve possedere quel “plus” grazie al quale chi la sente se ne invaghisce al primo ascolto. Come un amante che non sa far altro che parlare della sua amata, ogni ascoltatore diventerà raccontatore indefesso di quest’idea così straordinaria, e la farà correre all’impazzata. Correndo di bocca in bocca, l’idea arriverà al traguardo: quello di essere realizzata, e di assicurare vantaggi a chi l’ha avuta. Ovviamente, se nella fase realizzativa dovesse offrire poche difficoltà, le probabilità di essere messa in pratica aumenterebbero ancora di più. Un’idea con queste caratteristiche ha molte possibilità di diventare realtà, e di avere successo. Ma solo i creattivi hanno idee di questo tipo. Claudio Ciaravolo ha una solida reputazione di creattivo. La creattività ce l’ha nel DNA: lo dimostra la storia di suo nonno, Gennaro Ciaravolo. Parte il link Che fosse creativo (con una sola t) era chiaro a tutti: di idee ne aveva sempre tante, e le usava per divertire gli amici, per stupirli. Ma che fosse anche un creattivo, lo si scoprì quando, nel primo secondo dopoguerra (cioè appena dopo la fine del secondo conflitto mondiale), nonno Gennaro s’inventò un prodotto sorprendente. Virtuale che più non si poteva, in un momento in cui le merci reali -a cominciare dal cibo- scarseggiavano fino all’assenza: l’aria di Napoli. Le sue invenzioni in realtà furono due: oltre a inventare l’aria di Napoli, il nonno si inventò di averla venduta. A chi? Naturalmente agli americani, che non avevano l’aria sveglia, ma avevano i dollari, ed erano pronti a comprare qualsiasi cosa che potesse ricordargli (e testimoniare il loro soggiorno in) quest’incredibile città. Gennaro Ciaravolo raccontava che era in questo modo che aveva accumulato la sua cospicua sostanza: non era vero (viveva di rendita, non di vendita) ma la gente ci credeva. E lo ripeteva. Perché la storia dell’aria di Napoli era bella; troppo bella per essere falsa. Ma era più che bella: era entusiasmante. E quindi perfetta da raccontare. La storia dell’aria di Napoli piaceva moltissimo. E forse in tanti sarebbero stati pronti a comprarsela, se davvero nonno Gennaro (o qualcun altro) l’avesse messa in vendita. L’Aria di Napoli si era imposta all’attenzione dei napoletani dell’epoca; aveva attivato un passaparola. A questa condizione fondamentale si poteva aggiungere probabilmente anche la facile realizzabilità: un elemento che ne avrebbe decretato l’effettivo successo come prodotto. In effetti, l’Aria di Napoli era realizzabile. Lo avrebbe dimostrato, molti anni dopo, suo nipote Claudio. Che la fece diventare, senza grossi sforzi, un vero prodotto. Provare, per vendere. E Claudio Ciaravolo ci provò. Per poter vendere l’Aria di Napoli c’era però bisogno di creattività. Era infatti passato molto tempo da quando era stata inventata. Per riprendere il suo cammino “autonomo”: per reinnescare il passaparola, l’Aria di Napoli aveva bisogno di qualcosa di nuovo. Di un tocco di attualità. Di qualcosa che le desse l’appeal necessario per riprendere la corsa. A trovarlo, al momento di immetterla sul mercato, fu il nipote Claudio, che pensò di soffiare dentro l’aria un ingrediente nuovo, per forza di cose assente quarant’anni prima, all’epoca dell’invenzione: lo smog. Le lattine dell’aria di Napoli poste in vendita furono così di due tipi: con smog, e senza smog. Con questo piccolo “restyling creattivo”, il passaparola, che pure mai si era interrotto del tutto, si riattiva, e riesplode. L’Aria di Napoli nuova edizione effettua il tipico percorso dei prodotti creattivi: senza spendere una lira in pubblicità, finisce prima nei discorsi della gente, e poi sui giornali, e in televisione. Come fenomeno di costume (è per tutti l’ennesima testimonianza dell’arguzia dei napoletani). Tutti parlano dell’Aria di Napoli, e tutti la vogliono. Soprattutto quella con lo smog. L’Aria di Napoli è riuscita a imboccare la strada di quella che Claudio Ciaravolo definirà molti anni dopo “comunicazione orizzontale”: da me a te, da te a lui (o a lei), e infine ai media, e non quella della comunicazione verticale: dai media alla gente. Adesso però sul mercato l’Aria di Napoli deve comparire davvero. Fino a questo momento è stata solo virtuale. Adesso è il momento di farla diventare reale. Ora, insomma, bisogna farla. Grazie alla sua fattibilità, Claudio Ciaravolo la realizza senza sforzo. Di aria a Napoli ce n’è dappertutto: ma ci vuole un contenitore che la imprigioni. Claudio fa ricorso a una bomboletta di deodorante, incollando tutt’intorno una fascetta di carta sulla quale ha disegnato a mano (altro che grafica computerizzata!) il logo dell’Aria di Napoli, con qualche nota esplicativa. Un prodotto che verrà definito da alcuni giornali “artigeniale”. OK, il prodotto. Ora però bisogna venderlo. A chi? Ai turisti (stranieri, per lo più). Dove? Nei luoghi in cui abbondano. All’inizio Claudio Ciaravolo si occupa in prima persona della vendita. Lui va a Capri, e l’Aria va a ruba. La gente, che già era stata coinvolta nel tamtam interpersonale sull’Aria di Napoli, finalmente la vede davvero, a portata di mano. E di tasca (non costa molto). Dall’iniziale bancariello, in perfetto stile napoletano, sul quale vengono (stra)vendute, le bombolette d’Aria di Napoli passano nelle vetrine dei negozi di lusso delle località turistiche più famose (Capri, Ischia, Amalfi, Sorrento, Positano), e nei grandi alberghi, che le regalano ai clienti vip. Le vendite procedono a ritmo entusiasmante, e Claudio, non ancora maggiorenne, decide di ingrandirsi; registra il marchio, e migliora il prodotto, potenziando contemporaneamente la rete di vendita. L’aria resta la stessa, quella di Napoli. Le lattine (vuote, e chiuse ermeticamente) vengono ordinate in quantità industriale ad un’azienda che le produce per l’industria conserviera (sono le stesse lattine che si usano per i pelati). Le etichette vengono stampate in tipografia. Le lattine di Aria di Napoli Claudio Ciaravolo prima le porta personalmente negli USA, e poi, visto il successo, le esporta. In America la reputazione di Napoli e della sua creattività era (ed è) leggend’aria. E il successo è davvero incredibile. Era un buon business, ma fra lattine, etichette, spedizioni la fatica era tanta. Intendiamoci: se si pensa ai guadagni, la fatica era davvero poca: il giogo valeva la candela. Ma come ogni creattivo, Claudio Ciaravolo è abituato ad ottenere sempre il massimo risultato col minimo sforzo. Perciò cerca costantemente di ridurre l’orario di lavoro. Il suo, e quello dei suoi collaboratori. Decide così di smettere di produrre direttamente le lattine di Aria di Napoli, limitandosi a venderne i diritti. A chi aveva voglia di lavorare, ma non aveva idee. O magari ne aveva, ma non erano idee creattive: non erano cioè così straordinarie da permettere di arricchirsi facilmente. Il grande vantaggio, sul piano economico, è che un’idea creattiva non ha bisogno di grandi investimenti pubblicitari, perché si fa promozione da sola: e in più, si può realizzare facilmente, a basso costo. Da vero creattivo, non sempre Claudio Ciaravolo va a caccia di nuove idee (non che gliene manchino: un creattivo è infatti, di base, un creativo). Spesso gli è sufficiente applicare il turbo (quella t in più caratteristica dei creattivi) ad una buona idea (sua o altrui, non importa). Quest’idea, cre-attivamente trattata (leggi: modificata), da semplicemente buona che era diventerà straordinaria, entusiasmante, e quindi decollerà nei racconti della gente. Dando grandi vantaggi al creattivo. La verità è che di idee, vecchie e nuove, ce ne sono a migliaia. Ma spesso si fermano lì, a due passi, o non partono del tutto. Il compito (la missione!) del creattivo è attivarle; mettere loro le ali per farle volare, prima nei racconti delle persone, e poi nei loro desideri d’acquisto. E’ per questo che Claudio Ciaravolo, dopo il successo internazionale dell’Aria di Napoli, non si ferma, né passa ad altre idee. Continuando nella stessa direzione, progetta di inscatolare anche l’aria di altre città. Un’idea semplice, e facilmente attuabile. Di città fascinose e famose nel mondo quasi quanto Napoli ce ne sono tante: Roma, Parigi, New York, Berlino, per citare quelle realizzate per prime. E’ ovvio che ormai a produrle da sé non ci pensa nemmeno; realizza un unico prototipo, e poi si limita a registrarne i diritti, vendendoli a chi è intenzionato a produrle e a commercializzarle. La vendita di tutte queste arie lo soddisfa, ma gli fa anche pensare che si può fare ancora di più, e meglio. Un tipico pensiero da creattivo. Claudio Ciaravolo intanto crea, e vende, in rapida successione, i brevetti di un orologio parlante (all’inizio solo in inglese poi in italiano, poi nei vari dialetti), di una zip da mettere sulle scarpe da ginnastica al posto dei lacci, di adesivi per personalizzare i tasti del computer e quelli del telefono, e moltissimi altri gadget che finiranno tra gli oggetti più venduti negli USA. Per la loro singolarità e curiosità, tutti questi prodotti fanno parlare di sé non solo la gente, ma anche i media, con ulteriore potenziamento del passaparola. Però, da buon napoletano, Ciaravolo non si scorda del “bancariello”. Di quella semplice struttura fatta con due cavalletti e una tavola, su cui si può mettere (e vendere) di tutto, di più. Così come Claudio Ciaravolo era nipote d’arte, il bancariello è figlio d’arte. Dell’arte di arrangiarsi. Arrangiarsi vuol dire trovare un’escamotage per arrivare a domani: non è progettare il domani. Arrangiarsi è uscire dal bisogno: risolvere un problema è invece entrare in un mondo di opportunità. Il “napoletano di necessità” si arrangia; il “napoletano di professione”, come Claudio Ciaravolo, cerca e trova soluzioni. Perciò, non è certo per caso che, molti anni dopo, ormai psichiatra e studioso di leggende metropolitane, Claudio Ciaravolo troverà proprio su un bancariello quelle soluzioni e quelle idee che gli permetteranno di fare quel salto di qualità che lo porterà ad essere (ri)conosciuto come creattivo a livello internazionale. Invece di ricavare un buon guadagno (con le royalties) da molte vendite, a un certo punto si rende conto che può ottenere molti più soldi con una sola vendita; con un solo bancariello. Quel bancariello deve essere di facile attuazione, ma non solo: dev’essere così speciale, così singolare, da essere capace di attivare un travolgente passaparola. La singolarità del bancariello consisterà proprio in questo: nel suo essere unico. Invece di effettuare migliaia di vendite stradali, Ciaravolo decide insomma di effettuarne una sola: ma in quest’occasione, agli occhi (in genere divertiti e incuriositi) dei passanti si aggiungerà l’occhio delle telecamere. In poche parole, ciò che Claudio Ciaravolo venderà non sarà il prodotto che ha inventato, e nemmeno i diritti per la sua produzione. A diventare produttore sarà egli stesso, ma produttore televisivo: venderà infatti alle televisioni di tutto il mondo il filmato della sua vendita. FINE link Il prodotto che inventerà, e di cui organizzerà una vendita stradale, che filmerà, dovrà essere ovviamente straordinario: solo in questo caso la gente si accalcherà intorno al bancariello, per acquistarlo. E questa gente avrà di certo un appeal fortissimo per le televisioni di tutto il mondo. Non è necessario che siano comparse; inscenare per le strade di Napoli una vendita, vera o falsa che sia, di qualcosa di straordinario farà accorrere (almeno così crede – e spera! – Claudio Ciaravolo) migliaia di curiosi. I veri acquirenti non saranno comunque i passanti, ma i responsabili dei grandi network, che compreranno il filmato del bancariello. Per poi mandarlo in onda. Claudio Ciaravolo lavora in regime di esclusiva: ovviamente è il solo a possedere il filmato, perciò può imporlo al prezzo che gli pare. Per vedere se la cosa funziona, riparte dall’aria: quella di Napoli. Organizza un bancariello, con tanto di slogan e di lattine in vendita. E filma le reazioni di tutti quelli che si fermano a chiedere informazioni, a guardare, o a comprare. Sarà il numero zero di una serie fortunatissima di filmati impostati tutti alla stessa maniera. Con questo sistema, a partire dal 1981, Claudio Ciaravolo realizza decine di filmati, acquistati e trasmessi prima in Italia da RAIDUE, poi dalle televisioni di molti altri Paesi. Sui bancarielli di C si venderanno gocce di pioggia, volute di fumo (piccoli coppetti di carta con dentro un pezzettino di ghiaccio secco), moduli per cambiare nome, targhe (false) pari o dispari, gettoni di ghiaccio (i famosi ghiagettoni); e ancora, per poche lire, si potrà avere una bluschetta con la elle, il ciarailoviù per innamorarsi, la samarcandina per ricordare. Altri bancarielli, ciascuno in versione unica, vedranno la vendita delle lacrime di Berlusconi, del sognifero, del nospot. Milioni di persone vedranno queste vendite “uniche” in televisione. I compratori, lo si ribadisce, sono reali (anche se fuori telecamera, ad acquisto avvenuto, vengono loro restituiti i soldi); perciò il filmato che documenta la vendita è assolutamente veritiero. Sono altrettanto, e clamorosamente, autentici tutti coloro (e saranno migliaia) che, sempre su un bancariello, avalleranno con la propria firma delle improbabilissime raccolte di firme per abrogare la Juventus, o per difendere le mosche e le zanzare dallo sterminio. Il movimento per la difesa della zoccola napoletana DOC avrà il suo quarto d’ora di visibilità, come quei cittadini che doneranno a una fantomatica associazione no-profit i propri peli superflui. Oltre ai guadagni derivanti dalla vendita dei filmati, Claudio Ciaravolo ricava da questi bancarielli un altro vantaggio: l’analisi delle dinamiche psicologiche degli acquirenti sarà infatti la sua tesi di Specializzazione in psichiatria. Molti anni più tardi, nel 1989, con lo stesso sistema, Claudio Ciaravolo gira i filmati della vendita della maglietta di sicurezza, e delle false pietre del muro di Berlino. In queste occasioni però, prima di vendere i filmati aspetta che tutti ne parlino, E non è che debba aspettare molto. Non c’è da meravigliarsi se alcuni di questi numerosissimi prodotti “virtuali” – in quanto visti e fruiti dalla più parte della gente solo attraverso il video – superano lo stadio di prototipo, e vengono poi prodotti su larga scala e messi in vendita da aziende che ne hanno comprato da Claudio Ciaravolo i diritti. E’ il caso del parruccasco (tra tutte le invenzioni, chissà perché, è quella che vanta il più alto numero di imitazioni), e dell’antifurbo. E’ la stessa operazione, a ben vedere, che Claudio Ciaravolo aveva fatto con l’Aria di Napoli. In quel caso però non aveva pagato alcun diritto: né all’autore (ormai defunto), né agli eredi (avrebbe dovuto pagare se stesso). Vendendo il filmato della vendita di un prodotto, e non il prodotto, si raggiunge il massimo della creattività: se per il fruitore parlare di questo filmato è divertente; se si entusiasma perché conferma il suo modello di mondo, e se gli dà la possibilità di mostrarsi ben informato sulle novità, ne parlerà in giro, magari dicendo di essere stato presente quando l’hanno girato. Ciaravolo si accorse che succedeva esattamente la stessa cosa con le leggende metropolitane: quelle storie che a molte persone sembrano troppo belle per essere false, perchè confermano il loro modo di vedere il mondo.Fu allora che cominciò una lunga sperimentazione che lo porta ad inventare la maglietta con la cintura disegnata sopra. Quello che venderà, come al solito, sarà il filmato del bancariello su cui ha esposto la maglietta bianca con la striscia trasversale nera. L’esperimento, com’è noto, ha pieno successo. Claudio Ciaravolo viene salutato da più parti come il primo uomo capace di dimostrare di aver inventato una leggenda metropolitana. Così, oltre ad essere considerato, per i suoi trascorsi, un creattivo di consumata abilità, viene anche accreditato del titolo di “legend-maker”: fabbricatore di leggende. Poco dopo utilizzerà le sue conoscenze per diventare un legendbuster.E’ il 12 maggio 1989. . C’è da esserne ben soddisfatti, e Claudio Ciaravolo lo è. Ma, da buon creattivo, sa che bisogna sempre essere preparati al meglio: se lo si è, lo si ha. E infatti, a questo punto della sua storia accade qualcosa di stupendo: Claudio Ciaravolo s’innamora (anche i creattivi sono esseri umani). Com’era fatale, di una creattiva. Un evento così privato non verrebbe qui citato se non avesse avuto degli importanti riflessi sulla sua attività di creattivo. Dopo anni di poco lavoro e di intenso divertimento, Claudio scopre l’amore. E con lo stesso entusiasmo e la stessa dedizione che ha messo in tutte le altre cose di cui si è occupato, vuole dedicarsi esclusivamente alla sua donna. Perciò, senza pensarci nemmeno un istante, lascia i progetti, gli impegni e gli incarichi che ha accumulato negli anni. E abbandona anche le vecchie abitudini di single professionista, per permettersi il lusso di amare e basta. L’amore riempie tutti i suoi spazi, e tutto il suo tempo. Ma si sa, il lupo perde il pelo ma non lo sfizio. E nemmeno il gusto di fare le cose in (e alla) grande, come ha sempre fatto. Così, per dire “ti amo” alla sua donna, le fa trovare ogni giorno un bigliettino sul quale c’è scritto: ti amo. Il primo giorno, in italiano. Il secondo giorno, in napoletano: e poi, mattina dopo mattina, in una lingua diversa. Questo gioco iniziato per caso (anzi per amore) Claudio lo porterà avanti con impegno da creattivo professionista: decide infatti di continuare fino a quando non avrà le avrà scritto “ti amo” in tutte le lingue del mondo. Tutte: non una di meno. Per quelle più diffuse, orientarsi - tra amicizie, librerie, università e Ambasciate – è facile. Ma per tante altre,parlate solo da un migliaio di persone, la ricerca si rivela assai complessa. Occorre uno strumento duttile, potente, bene informato. Per fortuna c’è: si chiama Internet. Sul web Ciaravolo trova, non sempre agevolmente, le risposte che cercava, e così la sua raccolta di “ti amo” viene completata. Gli potrebbe bastare; e invece no. Gli viene in mente di farne un libro. Anzi tre . L’operazione-libri, già vantaggiosa di per sé, ha un’ulteriore ricaduta (un classico della creattività: da cosa nasce rosa). La maggiore familiarità con Internet acquisita attraverso le sue ricerche fa sì che Ciaravolo si renda conto delle enormi possibilità di questo nuovo mezzo di comunicazione e soprattutto dell’e-commerce, col quale tutti possono vendere quello che vogliono, senza intermediari. Il che è molto conveniente sia per il venditore, che per l’acquirente. Vendere per credere. Claudio Ciaravolo vuole provare. Rimette allora in pista – sul web - le sue vecchie arie. Ricomincia da 4: nel senso che per la quarta volta utilizza le Arie per battere una nuova pista creattiva. La prima volta aveva fabbricato l’aria di Napoli, e l’aveva venduta su un vero bancariello. Per pochi giorni. La seconda volta ne aveva venduto i diritti. Per anni. La terza volta aveva venduto le foto e il filmato della vendita dell’aria di Napoli, vendita effettuata mediante il solito bancariello. Per poche ore (il tempo della ripresa). Adesso è il momento di mettere la quarta: di provare a vendere le arie su internet. E’ vero che, con la vendita dei diritti delle Arie, aveva già appagato il sogno di ogni venditore. Internet è qualcosa di più; è una bancarella virtuale che non si sposta per cercarsi i clienti. Sono i clienti ad andare da lei. La vendita però è tutt’altro che virtuale: è reale, realissima. Claudio Ciaravolo crea allora un sito, www.souvenair.it, che contiene le Arie delle città più belle del mondo. Anche in questo caso (e quando mai no?), per lanciarle gli serve un’idea creattiva. C mette allora in vendita, accanto alle arie “ufficiali”, delle arie false. Sono identiche a quelle vere, ma costano la metà. E siccome a qualcuno piace falso, più falso che vero, il successo non è etereo (aereo) è palpabile. La gente va su souvenair, consulta il campionario. Poi quasi tutti si spostano sul sito rifattanapule.it dove ordinano e ricevono per posta la lattina d’aria della città richiesta. Col certificato di falso originale. Ma le arie non le possiedono solo le città: caratterizzano pure certi luoghi soggetti a particolari fenomeni atmosferici, come la nebbia. Nasce così la prima Nebbia Padana in lattina, che viene illustrata (e venduta) sempre su www.souvenair.it . Siamo comunque rimasti nel territorio dei souvenir: di un’aria legata ad un luogo specifico. Claudio Ciaravolo poi corregge il tiro, imprigionando in lattina una più generica Nebbia, per contentare chi non vive nella pianura padana, ma magari vorrebbe trovarcisi. Quando poi registra e vende Fog, il suo mercato diventa molto, molto più grande. Da qui le lattine di Brouillard per i paesi francofoni, Niebla per la Spagna e l’America latina, Nevoa per il Portogallo e il Brasile, Mist per l’Olanda,ecc. Quando arriva il 2000, con annesso Giubileo, Claudio Ciaravolo affianca, alla classica Aria di Roma buona per qualsiasi anno, l’attualissima Aria Santa, che – inutile dirlo - va a ruba. Per evitare di fare i classici e ormai noiosissimi regali, trova più sbrigativo e divertente realizzare delle lattine piene di Aria di Natale. Cui fanno seguito l’aria di Festa, e l’aria di Vacanza.Prodotti strani che è divertente regalare, scegliendoli in base alle necessità del destinatario.

A questa si aggiungeranno l’aria Indaffarata, l’aria Stanca, e la più gettonata di tutte: l’aria da Fesso, un bellissimo regalo da fare ai più furbi. Queste lattine non sono ovviamente fatte per essere aperte; sono dei divertenti gadget, per cui sono ermeticamente chiuse. Ma una piccola innovazione “soft” le darà più forza: se la lattina viene dotata di coperchio, come quello dei barattoli di vernice, può essere anche utilizzata come portapenne. Un motivo in più per comprarla e regalarla. Tutte queste Arie, raggruppate nel sito www.arie.it, confermano (se ce ne fosse bisogno) che Internet è il regno dell’Aria Fritta. Una delle prime arie dopo quella di Napoli che Claudio Ciaravolo ha inscatolato e regalato ai suoi colleghi psichiatri, giornalisti, legendbusters e creattivi. E non finisce qui: Claudio Ciaravolo ha messo in vendita anche l’Aria Inquinata. Di cui non avremmo certo bisogno, ma che viene molto richiesta, per il classico effetto-paradosso. Gli affari andavano benissimo, e i prodotti di www.arie.it avevano un buon numero di compratori. Fin qui niente di strano, visto che l’idea era buona. Quello che colpiva era il contatore, che evidenziava un numero assolutamente spropositato di visitatori. Di persone che non compravano, però venivano a dare un’occhiata. Di un prodotto così particolare si finisce per parlare (o per digitare: gli amici si segnalano sempre, su internet, i siti più curiosi). E prima o poi ne danno notizia pure la stampa, la radio e le TV. Risultato: aumentano ancora i compratori, e (sempre esageratamente) i visitatori. Si moltiplicano anche gli imitatori: molte arie vengono imitate. Claudio Ciaravolo lascia fare. Non tanto per generosità. La vendita di aria di Napoli o di qualche altra aria non toglie clienti a www.souvenair.it o a www.arie.it: al contrario, rafforza la voglia di servirsi del sito originale, quello ufficiale. Un altro dei vantaggi dell’e-commerce è l’eliminazione del distributore: quando diminuiscono i passaggi, aumenta la convenienza. Per chi compra, e per chi vende. Ma del vantaggio più grande Claudio Ciaravolo si rende conto quando il più grande produttore italiano di impianti di aria condizionata gli offre una grossa cifra per poter inserire la propria pubblicità su www.arie.it, Claudio Ciaravolo capisce che sta per cominciare una nuova straordinaria avventura.Altro che e-commerce! Grazie a questa richiesta di acquisto di uno spazio pubblicitario, Claudio Ciaravolo si accorge infatti che sulla Rete si possono fare grossi guadagni senza vendere nulla. Nemmeno uno spillo. Claudio Ciaravolo individua questa sequenza: se si fa un sito straordinario, questo attiva il passaparola. Che genera un elevato numero di visitatori, evento che non sfugge ai media. I quali finiscono per parlarne a loro volta. Ciò attira molti link da altri siti, desiderosi di “legarsi” ad un sito unanimemente ritenuto straordinario, divertente, o anche solo strano. I clic sul sito aumentano così a dismisura: a crescere è il numero dei visitatori, e in proporzione, anche quello dei compratori. La grande quantità di persone che vi entrano rendono quel sito commercialmente interessante per le aziende che vogliono farsi pubblicità, e che sono pronte a pagare bene per inserire un loro banner su un sito tanto vis(ita)to. Insomma, un buon sito – si dice Claudio Ciaravolo – potrebbe garantire un buon guadagno anche se non vende prodotti reali, ma fantastici: o se offre notizie particolarmente intriganti, o servizi inconsueti (”volete imparare a dire le bugie?”per es.). Se le cose stanno così: Provare, per credere. Come al solito, Claudio Ciaravolo ricorre al metodo sperimentale: registrerà un sito in grado (secondo lui) di attirare molti visitatori, e poi si metterà ad aspettare che gli inserzionisti arrivino. Ma per fare tutto questo ci vuole un sito straordinario, che attragga visitatori col suo solo nome. Claudio in mente un nome di tre sole lettere, che gli sembra avere tutte le carte in regola per attirare le persone, ce l’ha. Sperando che sia così: che così sia, registra www.dio.it. In Principio, su questo sito non ci mette assolutamente niente: il visitatore che ci va sopra trova soltanto una pagina bianca. Con un semplice contatore, verifica il numero giornaliero di contatti, e scopre che sono veramente tanti. Figuriamoci cosa succederà, si dice, quando ci metterò sopra qualcosa di interessante. Su www.dio.it Claudio Ciaravolo non ha intenzione di vendere niente: gli sembra più opportuno offrire ai visitatori un servizio utile, in tono col Nome del sito. Se ci riuscirà, aumenteranno le visite, e di seguito i guadagni da inserzioni pubblicitarie. Gli eventuali profitti Claudio Ciaravolo ha già deciso di devolverli ad associazioni no-profit. Ora non gli resta che trovare una buona idea, che attiri i visitatori. La trova. Più che un’idea, è un corto circuito: invece di trovare prima dei buoni contenuti per il sito, poi aspettare che la gente ci vada su, poi vendere gli spazi pubblicitari ad un’agenzia di pubblicità, e alla fine destinare il guadagno alle associazioni no-profit, perché non segnalare direttamente le migliori campagne no-profit sul proprio sito? Ma come sceglierle? Questo compito lo svolgeranno i visitatori-segnalatori delle campagne. Claudio Ciaravolo si limiterà a verificare l’attendibilità della segnalazione. Le campagne (e le associazioni) inserite daranno vita a una “sit-parade”, dalla più segnalata alla meno. Il navigante (che sia un segnalatore o no), potrà cliccare su quelle che vuole. Per saperne di più, o per dare un aiuto concreto. Appena nato, www.dio.it è già una star. Tutti, ne parlano. Oggi il successo di un sito dipende da un gran numero di variabili. Ma allora, nel 1999, la sua popolarità era quasi esclusivamente legata alla curiosità di chi andava a vedere che cosa c’era dentro, e ne parlava ad altri, attivando il passaparola. E’ così che www.dio.it si guadagna i suoi fedelissimi ripetitori, che lo diffondono come un’epidemia. I dati dei segnalatori permettono a Claudio Ciaravolo di mettere a fuoco le differenze fra il passaparola “classico”,che usa la voce, e il passaparola senza suono: quello che si verifica su internet. Su internet, il tamtam interpersonale è impersonale: non c’è bisogno di conoscere la persona che ti ha inviato una certa storia, e nemmeno quelli che verranno a leggersela sul tuo sito, al quale l’avrai linkata. Su internet, inoltre, la storia non subisce alterazioni. Passa infatti di clic in clic, e non di bocca in bocca. Facendo ricorso alla propria mailing-list, con un solo clic si raggiungono centinaia di indirizzi. Cioè di persone. Poi, a volte, la storia passa nei forum, e nei blog. La comunicazione è sempre orizzontale (da me a te, e così via): ma è molto, molto più veloce, quindi il suo effetto è assai più potente. Quanto all’autorevolezza della fonte, anch’essa si perde: non si può sapere se quella storia (informazione, notizia, ecc) provenga da uno scienziato, o da uno con la licenza elementare. Da una persona equilibrata, o da un delirante. Da medico, Claudio Ciaravolo si rende conto che la trasmissione delle informazioni su internet somiglia da vicino a quella delle epidemie: come il raffreddore, che a un certo punto arriva, e colpisce in progressione geometrica. Questa modalità di diffusione Claudio Ciaravolo la definisce perciò “comunicazione virale”. Per analogia, per indicare il passaparola rapidissimo che ha per oggetto un prodotto, C inventa l’espressione “marketing virale”. Questa definizione sperimenterà anch’essa un rapido passaparola tra gli studiosi della materia, tanto da essere oggi ufficialmente adottata da chi vuole approfondire i meccanismi di un nuovo tipo di marketing centrato sul prodotto, capace di indurre il consumatore a parlarne alle persone che conosce, influenzandole. Un tipo di marketing che si serve esclusivamente di Internet, e di diffusori spesso inconsapevoli. In molti si accorgono che internet cambia il mondo,non solo Claudio Ciaravolo. L’esperienza fatta con www.dio.it ,Claudio Ciaravolo aveva dimostrato che un sito che promettesse dei contenuti affascinanti poteva attirare molti visitatori. Il nome di questo sito doveva essere capace di stimolare la curiosità dell’ancora incerto navigante. I creattivi più avvertiti, quelli arrivati per primi a queste conclusioni, avevano, per questo, già registrato delle parole-sito che, una volta riempite di contenuti, avrebbero in poco tempo arricchito i proprietari. Prima con le inserzioni pubblicitarie, e - eventualmente- anche con un eventuale e-commerce. Chi pensava che i siti sessuali e quelli di automobili sarebbero stati molto cercati, e molto visitati, aveva perfettamente ragione. Avendo trovato questi territori già occupati, Claudio Ciaravolo cerca di guardare oltre. Al poi del poi. Che cosa funzionerà domani su internet? E ancora: chi saranno i navigatori di domani? Solo volgendo lo sguardo al futuro, e aguzzando la vista, un creattivo può capire su quali argomenti puntare. E soprattutto, quale tipo di visitatori dovrà accontentare. Bisognava trovare delle parole-sito collegate ad argomenti ai quali nessuno avesse ancora attinto. Solo così li si poteva trovare liberi, e quindi registrabili. Ebbene, all’ epoca nessuno aveva ancora pensato ad una utenza femminile. Se il web dovesse virare in questa direzione: se internet dovesse non essere più territorio privilegiato degli uomini, la percentuale delle donne-navigatrici crescerà enormemente. E riguarderà donne navigate, nel senso che saranno esperte quanto gli uomini. Ma con altri gusti, ed altre esigenze. Claudio Ciaravolo pensa allora al sito www.calorie.it, che potrebbe ospitare molte curiosità, e si candiderebbe per essere cliccatissimo, linkatissimo, e oggetto di un notevole passaparola da parte di un pubblico femminile (prevalentemente). Claudio Ciaravolo pensa pure a tutti quei siti che offrono ricette tradizionali (da napoletano, gli vengono subito in mente pastiera.it, sfogliatella.it e babà.it); a ricette classiche, come risotto.it, e a piatti veloci da preparare. Claudio Ciaravolo registra tutti questi siti, e molti altri dello stesso universo. Progetta di organizzarli in modo nuovo e divertente, per aumentarne l’appeal. Ovviamente le ricette non saranno che un punto di partenza: sui suoi siti alimentari Claudio Ciaravolo conta di inserire notizie e notiziole, poesie, filastrocche e curiosità che possano spingere chi è andato a curiosare su internet a parlarne in giro. Quando il 1999 si avvia al termine, Claudio Ciaravolo si sente ormai pronto per partire verso le nuove frontiere della creattività: il mitico “Far-Web”. I passi da effettuare sono questi (grazie a (www.) Dio (it), ce li ha ben chiari): individuare un territorio “vergine”, poi registrare una parola facile da ricordare che lo rappresenti, e infine allestire il sito in modo accattivante. Se si sarà lavorato bene, prima arriveranno i visitatori, e poi, come naturale conseguenza, gli inserzionisti. Che vorranno comprare la pubblicità su quel sito. Questo è tutto ciò che deve fare: niente di più. Ma presto scopre che per farsi largo nel Far-Web serve molto meno: basta la parola. Cioè, basta il nome del sito. Lo capisce quando cominciano ad arrivargli delle proposte d’acquisto di siti da lui registrati, che però sono ancora completamente vuoti, non avendo ancora avuto il tempo di allestirli. In poche parole, dei siti non ancora attivi possono essere già venduti molto cari. Le offerte che riceve riguardano cellulite.it, lavori.it ed altri siti ancora. Ma Claudio Ciaravolo non è interessato alla facile speculazione che vede tutti impegnati a comprare (e registrare) parole-sito a poche lire, per poi rivenderle quando il mercato sarà salito. Perciò non vende; ma decide di aiutare chi vuole farlo. E chi, per contro, vuole acquistare. Essendosi reso conto che è cominciata la corsa alle parole (cioè alle intestazioni di sito) da registrare, allestisce su internet uno spazio in cui fa incontrare la domanda e l’offerta. Apre negli Usa un “wordshop”, che va a gonfie vele. Dopo poco sbarca in Italia; a Napoli (www.napule.it,) e su questo sito organizza il più grande mercato di vendita, di scambi e di ricerca di sponsor dell’intero web. Gli annunci contenuti nel sito sono gratuiti. Dopo essersi conquistato un mare di clic, www.napule.it attira l’attenzione dei media: dal Corriere della Sera al Sole 24 ore, dal Messaggero al Mattino. Per tacere della Tv di stato e non (radio e Tv private). Che se ne parli fa comodo a tutti gli inserzionisti. Con lo sbum di internet le luci si spengono. Finiscono i soldi, e cominciano i saldi. Dopo le svendite, c’è il crollo del mercato: un dominio sembra proprio che non abbia più alcun valore. Pure www.napule.it chiude. Per eccesso di offerta, e carenza di domanda. In realtà quello che chiude è solo il mercatino dei siti, perché www.napule.it sopravvive. E allarga i suoi orizzonti, ospitando altre informazioni e altre occasioni. Diventa un giornale ondine che dirigerà personalmente. Subito dopo gli viene in mente sul Napoli,non la città ma la squadra.Non il solito sito di calcio ma dove il gioco del calcio e quello delle parole fossero protagonisti.Anche il napoli diventerà una testata regolarmente registrata al tribunale come papule.e verrà pubblicato su www.ilnapoli.it . Claudio Ciaravolo nonostante lo sboom del 2000 non lascia il web; raddoppia (gli sforzi), e moltiplica (i vantaggi). Internet, lo vede bene, è tutt’altro che finito; è sempre più in salute. OK, non ci sono più gli inserzionisti, e con questo? I navigatori aumentano, e parlano sempre più italiano. Claudio Ciaravolo attiva allora tutti i siti che ha, e ne crea di nuovi. Visitatissimi. Ci mette dentro sempre qualcosa di nuovo e di intrigante, in grado di attirare gli internauti. Oltre a tutte queste novità, che pochi siti possiedono, i siti di Ciaravolo hanno pure qualcosa di vecchio, che nessuno ha più: la pubblicità. Per trovarla, non è dovuto andare lontano; gli è bastato restarsene a casa. Le inserzioni pubblicitarie che ci sono sui suoi siti sono infatti sue: e riguardano i (suoi) siti che si occupano di leggende metropolitane. E’ così che Claudio Ciaravolo assicura a leggende.it, a bufale.it e a tutti gli altri siti che possiede sull’argomento (ne ha fatto incetta in tutto il mondo!) la visibilità necessaria per far partire alla grande l’offerta gratuita di un servizio straordinario di “verifica”. L’interesse al fenomeno-leggende da parte dei media è di quegli anni, ma nel mondo di storie strane e affascinanti se ne sono sempre raccontate. Storie che hanno catturato e convinto milioni di ascoltatori, ma che in un numero altrettanto grande di casi hanno seminato il dubbio: ma questa storia è vera, o invece è falsa? La risposta non si sa dove cercarla. Sarebbe meglio dire: non si sapeva, perché i siti di Claudio Ciaravolo offrono proprio questo: una consulenza autorevole e attendibile sulla veridicità, anzi sulla verità di qualsiasi storia. Claudio Ciaravolo ha tutti i numeri per poter offrire un simile servizio. Negli anni è diventato uno dei massimi esperti mondiali di leggende metropolitane, e sull’ argomento possiede una banca dati unica al mondo. Milioni di visitatori si rivolgono a questo servizio, che Claudio Ciaravolo ovviamente non potrebbe svolgere da solo: ad affiancarlo c’è un agguerrito gruppo di collaboratori esperti in leggende, da lui formati. Tutto questo attiva un rapidissimo tamtam interpersonale, che assicura ai siti di leggende di C una frequentazione incredibile. Su questi siti Claudio Ciaravolo offre molto, e ottiene in cambio almeno altrettanto: grazie alle storie che gli utenti gli inviano, per sapere se sono vere o false, la sua banca dati si amplia sempre di più. Questi dati vengono inseriti all’interno di trasmissioni da lui curate: una di queste,in Italia, “Incredibile ma falso”, è andata in onda tutti i giorni su RADIOUNO alle 7,50, prima del GR1, per 1800 puntate. Ed ha contribuito a far luce su tante storie, non sempre innocue, che circolano senza sosta e senza passaporto. La raccolta, lo studio e la comparazione delle leggende metropolitane inviate al sito o all’indirizzo RAI ha dato a Ciaravolo la possibilità di studiare e di capire sempre più a fondo la comunicazione orizzontale, cioè i meccanismi del passaparola, per poterli utilizzare sempre meglio in quell’operazione che egli stesso ha definito “marketing virale”. Grazie ai dati che è l’unico a possedere, Claudio Ciaravolo allestisce un vero e proprio osservatorio epidemiologico, attraverso cui può monitorare le leggende, seguendole nel loro percorso e nelle loro mutazioni,conoscere le dinamiche e i meccanismi di diffusione. Con l’invenzione della maglietta, Claudio Ciaravolo aveva messo “su strada” una storia. Che aveva trovato (e ancora trova!) da sola la benzina (i racconti della gente) per correre a bordo di quelle auto in cui mai era salita per davvero. Adesso doveva fare la stessa cosa, ma il passaparola non doveva verificarsi con le modalità tradizionali (da persona a persona, dal vivo, o per telefono): doveva avvenire su internet. Da buon imprenditor, poche parole: era il momento di far parlare i fatti. Questa volta però senza voce: con una serie di digitazioni sulla tastiera, e di clic. Ecco il programma: Claudio Ciaravolo avrebbe cercato di mettere sul web un prodotto straordinario, ma sotto traccia. Nel senso che non gli avrebbe dedicato nemmeno un banner di pubblicità. Da nessuna parte. Se la notizia avesse cominciato ad andare in giro, lo avrebbe saputo, perché gli sarebbero arrivate molte richieste d’acquisto di quel prodotto. Se tutto questo si fosse verificato, Ciaravolo avrebbe realizzato un business molto particolare, senza bisogno di intermediari, di distributori, né di pubblicità. Questo business sarebbe stata la prova che il marketing virale esiste: e – questa è la cosa più importante - che si può innescare. Ed imporre, decretando il successo di una azienda. L’occasione fa l’uomo leader. E si presenta quando Claudio Ciaravolo vuole dotarsi di uno speciale indirizzo di posta elettronica, personalizzato e facile da ricordare. Di questo indirizzo non parla in giro: non lo spiega, non lo pubblicizza. Lo vedono solo quelli a cui scrive delle e-mail. Ebbene, dopo pochissimo sono tanti a chiedere quello speciale indirizzo, e ad acquistarlo. Il marketing virale è ufficialmente nato, insieme (e grazie) a un e-mail nuova e straordinaria, che chiama s-mail. Il riferimento al sorriso è calzante: è il sorriso di soddisfazione di Claudio Ciaravolo. Per continuare a sorridere, però, non si può rimanere immobili. Un creattivo deve essere necessariamente flessibile. Occorre che si adegui ai continui cambiamenti. Della società, e di internet. Deve trovare sempre nuove soluzioni,nuove innovazioni soft. Più sono soft, più facili sono da realizzare. Per esempio all’inizio perché un sito attirasse visitatori, bastava la parola, vale a dire un nome accattivante: la gente ci andava a curiosare, e poi ne parlava agli amici. Che ci facevano un giro anche loro. Da allora le cose sono cambiate, su internet (come dappertutto). La scoperta di un sito interessante, o straordinario, oggi si fa grazie ai motori di ricerca (Google su tutti). Chi possiede un sito deve trovare il modo di farlo comparire in una delle prime pagine. Solo una buona posizione di questo tipo sul motore di ricerca convincerà gli investitori - che nel frattempo sono ritornati – ad affidargli la propria pubblicità. Ma come si fa ad arrivare sulle prime pagine di Google? Per riuscirci il sito deve avere molti visitatori, offrire un buon servizio, e poter contare su molti siti che linkano su di lui. E molto altro. Un’operazione difficile, ma non impossibile. Una nuova straordinaria sfida per un creattivo. Claudio Ciaravolo ha in questi anni attivato molti siti. E tutti, oggi, sono in prima pagina su google. Anche chi cerca Dio su Google (chi attiva il primo motore di ricerca per ricercare il Primo Motore) trova il sito di Ciaravolo (www.dio.it) nelle primissime posizioni della prima pagina (benchè, a chi digita Dio, Google risponda con decine di milioni di risultati). Oltre ad essere cambiato il modo di cercare le informazioni, col tempo su internet è cambiato ovviamente, anche il mercato degli indirizzi. Anche S-mail (e quindi Claudio Ciaravolo) si è dovuta adeguare. Lo ha fatto, manco a dirlo, con un’idea creattiva: il reindirizzamento. Così, ancora oggi, in uno scenario profondamente cambiato, S-mail riesce ad offrire un servizio speciale, che vive di un efficacissimo passaparola. Smail ha continuato ad essere negli anni un’azienda leader nella realizzazione e nella vendita di e-mail personalizzate. Smail è oggi un marchio che vale moltissimo, proprio per la sua capacità di attirare e di soddisfare clienti molto diversi; i quali, dopo aver acquistato una smail, la “diffondono” rapidamente (con la posta elettronica, ovviamente!) a tutti i loro corrispondenti. Smail è , grazie alle continue innovazioni sull’idea originaria, rimasto un marchio vincente. E si sa, il marchio è tutto. E’ lui a determinare il valore di un’azienda. Un marchio di successo determina il prezzo di un prodotto più della sua qualità. Grazie ad un marchio conosciuto e apprezzato, per esempio,un capo di abbigliamento, che di per sé vale poche lire può costare tantissimo. Nonostante il produttore, che spesso lo fa confezionare in Cina, spenda pochissimo. Realizzare un marchio di valore invece gli costa moltissimo. Per imporlo sul mercato, infatti è necessario spendere cifre enormi in pubblicità, e continuare a farlo nel tempo. Per questo il sogno di ogni azienda è di avere un marchio così straordinario da far parlare di sé senza bisogno di pubblicità,ma è considerato irrealizzabile. Meglio di un prodotto di successo.I prodotti passano i marchi restano e si estendono:dalle scarpe agli zaini,dalle borse agli orologi senza limiti. Un marchio che si autopromuove è la pietra filosofale, perché trasformerebbe in oro tutto ciò che gli si associa. Darebbe un plus a qualsiasi prodotto totalmente gratuito per l’azienda. Ormai è chiaro che se c’è qualcuno che, con una innovazione soft sul marchio, possa riuscire in un’impresa del genere, non può essere che un creattivo. Di più: un creattivo che si chiama Ciaravolo. O almeno è così che deve aver pensato la multinazionale che si è rivolta a Ciaravolo per commissionargli un marchio capace di attivare un marketing virale. Che induca un passaparola di dimensioni siderali non sul prodotto ma su un marchio già esistente o ancora meglio,da inventare ex novo. Claudio Ciaravolo ovviamente rifiuta ma non smette di pensarci. Alla fine decide di provarci,ma per conto suo. Se non ci dovesse riuscire, avrà solo perso un po’ di tempo. Ma se ce la fa, quel marchio lo potrà vendere a peso d’oro a qualsiasi azienda. In fondo, è una sua vecchia regola: anche quando faceva lo psicoterapeuta, si faceva pagare solo a risultato ottenuto. Gli sembra più giusto.Perciò rifiuta l’ingaggio in apparenza molto vantaggioso. Claudio Ciaravolo comincia a riflettere. E’ vero che nessuno parlerebbe di un marchio, invece che di un prodotto. Ma se a questo marchio venisse associata una storia strana, divertente, di quelle da raccontare? Nella sua banca dati di esempi del genere ce ne sono. In negativo. Il marchio della Procter&Gamble divenne oggetto, negli anni 70, di una storia che lo accusava di satanismo, e la multinazionale fu costretta a modificarlo. Spendendo parecchi milioni di dollari. Ciò dimostra che di un marchio se ne può parlare, eccome. Ma deve fare notizia, come succede per le leggende. Da qui Ciaravolo parte per arrivare all’idea straordinaria di un marchio così speciale che fa parlare di sè tutti quelli che lo vedono. Vaffanculo. Questa è l’idea che alla fine ha trovato.


Logo Claudio Ciaravolo